(A cura di Luiz Oliveira de Cescrofeo)
1) In una intervista lei ha affermato che la poesia oggi torna ad essere necessaria al mondo, ossia torna ad avere un ruolo importante nella società. Allo stesso tempo, però, constatiamo che le persone leggono sempre meno poesia e che la società civile, politica, non riconosce nessun ruolo al poeta. Come superare questo scarto, come il poeta potrà rivelare, e a chi, questo terribile momento di alienazione che tutti viviamo, momento di violenza, di allontanamento dell'essere da sé stesso? Che cosa potrà fare il poeta?
La poesia è l'unico vero linguaggio umano emozionale: è nato con la nascita dell'uomo e morirà con esso. Jung parla della poesia come di un oltre-linguaggio, come di un antidoto all'imperante espansione soggettivante della tèchne, che se da un lato migliora sempre di più le condizioni di vita, dall'altro finisce per rendere l'uomo un semplice oggetto di tecnologia, anziché restarne soggetto creatore. La poesia si pone quindi come via di fuga, come finestra sul vero, sul reale, e come qualsiasi finestra rimane lì in attesa che qualcuno la apra, senza imposizioni, senza moralismi anacronistici...è lì!
Il poeta è un visionario profeta dell'essenzialità, un “folle” che non smette mai di scavare e raccontare, raccontare e scavare, a volte raccogliere. La sua è una condanna molto simile a quella inflitta a Sisifo per aver “raccontato” appunto, un ritornare rotolante sulla profondità di quel che lo circonda.
Penso che essere poeta, non farlo semplicemente, o peggio atteggiarsi a poetam sia una vera e propria chiamata, una vocazione, per ridare alle cose la loro giusta dimensione e collocazione.
Le parole sono effettivamente limitate, come d'altro canto limitato è l'uomo, la lingua che parla, l'orecchio che ascolta. Si, la poesia è il linguaggio dell'essenzialità ed è vero che la metamorfosi, il mutamento, possono portare le cose lontano dalla loro genuina essenza. C'è un momento in cui si ristabilisce una coincidenza fra la cosa e la parola, fra la verità, la sostanza, e il nome. E allora la convenzione, la civiltà, questa scorciatoia dei segni convenzionali viene superata. C'è questo momento ed è un momento poetico. E' trovare le giuste lunghezze d'onda, la giusta combinazione, scegliere la parola che vibra più forte, che evoca, che tocca le corde dell'anima, costruire immagini, come diceva Orazio “ut pictura poesis”, e infine farle vivere!
3) Quali sono i poeti, gli scrittori, gli artisti che l’hanno influenzata?
Ci sono degli autori che reputo i miei maestri spirituali, poiché l'incontro con le loro opere ha inciso profondamente sul mio sguardo sul mondo e sulle cose. Il primo incontro con la poesia avvenne, ad esempio, durante la prima adolescenza, grazie alla lettura di Leopardi, poeta che amo visceralmente, e Pablo Neruda, dal quale ho imparato la scrittura carnale e sensuale. Poi, gli immancabili “fleurs du mal” di Baudelaire che hanno aperto dentro la mia concezione poetica uno spiraglio di nuovo orizzonte metafisico, per finire poi con Goethe ed il suo Werther, romanzo che mi ha segnato in tutti i sensi.
Accanto a questi “mostri sacri” della letteratura di tutti i tempi, c'è un artista in particolare, il cui incontro ha fatto crescere a dismisura in me l'affinità col mondo visionario, fatto di immagini e di furore, un artista che reputo un fratello, oltre che un genio della pittura contemporanea, Agostino Arrivabene. Le opere di Agostino hanno, sin dall'esordio con Romantic, accompagnato tutti i miei volumi di poesie. I suoi dipinti conferiscono ai libri una vita nuova, più fremente, più viva appunto, lui dice con le immagini quello che io evoco con le parole.
Una coppiata vincente insomma.
Infatti, nel 2007, il suo catalogo “Il sole morente nella stanza azzurra”, catalogo pubblicato in occasione della sua personale ad Andria, oltre a contenere un omaggio poetico dell'indimenticabile immensa Alda Merini, contiene anche quel che io reputo in assoluto il mio manifesto poetico: Giuramento Notturno.
4) Come nasce il suo amore per il teatro? Differisce dalla poesia?
Il mio amore per l'arte del teatro nasce in primo luogo dall'amore per le vicende dell'animo umano, e più queste vengono sviscerate più mi attraggono. Ho sempre seguito il teatro da spettatore, vedendo molto e molto studiando ciò che sulla scena veniva portato. Inoltre non bisogna dimenticare che Andria è sede del Festival Internazionale Castel dei Mondi, uno dei più pirotecnici, spettacolari, intensi festival di teatro a livello nazionale e non solo. Quindi, ho più volte respirato a pieni polmoni questa atmosfera, incontrando e stringendo amicizie con attori, registi, autori, i quali mi hanno sempre, anche inconsapevolmente, insegnato, svelato, raccontato della loro arte. Poi il salto definitivo è avvenuto due anni fa, quando mi fu chiesto di rivedere e magari rielaborare la Medea di Euripide, Medea che mi ha accompagnato per più di un anno, e infine è diventato un vero e proprio spettacolo, Nausaea, che l'anno scorso è stato portato in scena al Castel dei Mondi. Un testo ostico, duro, tagliente. Di lì in poi la strada è stata in discesa!
Il linguaggio teatrale non differisce molto da quello poetico: entrambi nascono dall'esigenza di raccontare, di dare una precisa, seppur soggettiva, visione delle cose, di mettere a nudo le fragilità dell'animo umano. Il linguaggio teatrale ha, secondo me, lo stesso corredo genetico emozionale della poesia, solo che usa codici quotidiani, codici facilmente riconoscibili ed accessibili...in fondo Shakespeare era anche un poeta, ed è innegabile!
5) Le sue opere, sia poetiche che teatrali, sono di forte impatto emotivo e sociale, come i libri "Il sigillo e l'estasi", "Immersioni", e gli spettacoli "Nausaea", "Finché morte non ci separi", "7volte" e l'ultima sua opera "Numero Unoseiotto"; pensa che abbia un senso oggi entrare in maniera così diretta su talune tematiche?
Il senso delle cose è nelle cose stesse. In fondo quello che racconto in ciò che scrivo non è altro che un fare luce sulla realtà, sulle verità così come le percepisco, una riflessione a voce alta sulle universalità. Ad esempio, in Nausea, si parla di vendetta, dolore, inganno, infanticidio, temi universali e ahimè ancora molto attuali; in Finché morte non ci separi e 7volte7 porto sulla scena le “sciagure” della codardia, della pigrizia, del vizio in forma cinicamente sarcastica, facendo ridere, o meglio sorridere, lo spettatore di cose, al contrario, davvero preoccupanti: gli amori intrecciati, le tresche clandestine, il non voler fare il proprio dovere sono temi caldi e su cui riflettere non ci può fare che bene.
In Numero unoseiotto, invece, il tiro si alza, è un testo ambizioso, perché estremamente semplice, vuole infatti semplicemente raccontare, raccontare la follia, vuole mostrare gli effetti di quella follia “sana”, quella non violenta, non pericolosa, che non è affatto un male, ma che viene percepita come male assoluto dalla società. Il lavoro prende spunto da una originale rilettura del Don Chisciotte della Mancha, il folle per antonomasia, e sposta l'attenzione su quel che accade o accadrebbe oggi, dove tutte le battaglie si combattono tra quattro mura.
Numero unoseiotto verrà presentato in anteprima nazionale, dalla compagnia Teatro Sospeso, il 5 settembre ad Andria all'interno della XIV edizione del Festival Castel dei Mondi. Vi aspettiamo!